Per vent’anni la SEO (Search Engine Optimization) e il Search Engine Marketing hanno avuto un solo, glorioso obiettivo: arrivare in cima alla prima pagina di Google. Una specie di Olimpo digitale, un sogno stampato nei report delle agenzie e incollato sulle lavagne dei team marketing. La logica era semplice: più sei in alto, più clic ottieni, più vendi. Facile, no?
E invece… no. Oggi quel mondo è cambiato. Drasticamente. Silenziosamente. Inevitabilmente.
Benvenuti nell’epoca dei Large Language Models (LLM): ChatGPT, Google SGE, Bing Copilot, Claude.ai, Perplexity… insomma, un bel condominio di cervelloni. Un’epoca in cui non conta più tanto dove sei su Google, ma se vieni citato da un’intelligenza artificiale.
Sì, avete capito bene: non basta più piacere a Google. Ora dovete anche conquistare il cuore (e l’algoritmo) di ChatGPT, Gemini e compagni, e loro — credetemi — sono parecchio esigenti.
Il primo dei grandi mutamenti in atto è legato all’introduzione, da parte di Google, dell’AI overview: un box che compare prima dei risultati di ricerca e che fornisce una risposta (creata dal motore AI di Google) alle domande degli utenti.
Una volta cercavi qualcosa su Google e comparivano i mitici 10 link blu, ordinati per rilevanza (o per chi aveva messo mano al portafoglio). Tu cliccavi, esploravi, perdevi tempo e forse trovavi quello che cercavi.
Adesso? L’AI ti risponde in modo rassicurante, come se fosse il tuo compagno di banco al liceo… solo più sintetico. Ti snocciola la risposta, magari prende spunto dal tuo sito, ma non si degna neanche di citarlo.
Risultato: l’utente ottiene tutto quello che gli serve senza cliccare. E tu? Resti lì, con la tua bella meta description… e un pugno di nulla.
Qualcuno dirà: “Ma l’AI overview spesso cita le fonti, quindi può portare traffico ai siti web…” Spoiler: il 99% degli utenti non clicca sulle fonti!
La “prima pagina” come l’abbiamo conosciuta? Non esiste più. Una volta era il podio, il trofeo, il Santo Graal. Oggi? Esiste la risposta. Una risposta in linguaggio naturale, che pesca da dati pre-addestrati, contenuti online e — perché no — un pizzico di magia nera.
Puoi anche aver scritto l’articolo della vita, ma se non sei strutturato bene o il contenuto non è chiaro, l’AI ti ignora come l’ex il giorno del compleanno.
Ecco qualche statistica che fa capire la portata del fenomeno:
In altre parole: anche se sei primo su Google, non è detto che qualcuno entri nel tuo sito. Perché la risposta l’ha già data l’AI. Calda calda.
Pensavi che almeno Google Ads fosse salvo? Spoiler: nemmeno lui.
Le ricerche zero-click non si fermano alla SEO. Anche le campagne pubblicitarie ne risentono:
L’AI overview non appare in tutte le ricerche: si attiva solo quando l’AI di Google ritiene che la query sia una domanda più che una ricerca pura. “Come si fa”, “Cos’è”, “Quando è successo” la attivano subito; non lo fanno ricerche come “ristoranti Modena”, “video di gatti” o “commercialista online”.
I siti che subiscono (e subiranno) i cali maggiori:
Non a caso gli editori europei — in particolare la Independent Publishers Alliance — hanno presentato una denuncia all’antitrust contro Google, accusandolo di utilizzare i contenuti editoriali per alimentare le risposte dell’AI overview senza restituire traffico (e quindi entrate pubblicitarie).
L’AI overview costringe anche a ripensare le strategie SEO basate sul blog-posting (già un po’ datate in verità). Spesso, per portare traffico e prospect, si pubblicano news e articoli informativi generici.
Esempio: un’azienda che offre servizi di connettività può scrivere articoli che spiegano la differenza fra FTTH e FTTC o come funziona la connettività satellitare. L’obiettivo è intercettare utenti interessati che, dopo aver letto, potrebbero acquistare.
Peccato che ora l’AI overview fornisca direttamente all’utente esattamente queste informazioni, riducendo drasticamente le possibilità di click.
Morale della favola: anche il budget pubblicitario va ripensato. Bisogna puntare su:
Messaggio chiave: non cercare solo dove c’è traffico. Cerca dove c’è attenzione.
Gli strumenti di AI generativa come GPT, Gemini e Claude fanno anche ricerche sul web per rispondere alle domande degli utenti, trasformandosi in motori di ricerca “evoluti”.
Il fenomeno è ancora marginale, ma cresce velocemente:
Risultato: cresce la quota di utenti che non passa più (o non sempre) da Google per cercare. Se l’utente non usa Google, essere primi su Google serve meno.
L’AI overview di Google è probabilmente anche una mossa per arginare questa perdita di traffico. Negli USA (e presto in Europa) sta peraltro arrivando AI mode, che trasforma l’AI overview in un vero chatbot.
Ottimizzare un sito per le AI generative è un campo nuovo, con poche regole consolidate e testate sul campo. Non esiste neppure un nome ufficiale:
Qui, per semplicità, lo chiameremo AI SEO.
Per approfondire il tema dell’AI SEO, è importante capire come funziona la ricerca sul web da parte di GPT e compagni.
Quando un utente fa una richiesta di ricerca a un chatbot AI, il bot:
La buona notizia: la SEO è ancora utile, perché i chatbot usano i motori di ricerca.
La cattiva: il criterio non è più solo la keyword, ma il significato.
Facciamo un esempio per capirci meglio.
Sul sito di Altuofianco, la tagline — ripetuta spesso — è: “soluzioni innovative per far crescere la tua azienda“.
Se un utente cerca su Google “soluzioni innovative per far crescere le aziende a Modena”, il primo risultato è proprio il sito di Altuofianco, seguito dalla sua pagina LinkedIn. Questo perché i motori di ricerca indicizzano parole e frasi (le famose keyword) e, in questo caso, c’è una corrispondenza quasi perfetta tra i termini ricercati e quelli presenti sul sito.
Se invece la stessa domanda viene fatta a GPT — “Quali sono le aziende che offrono soluzioni innovative per far crescere le aziende a Modena?” — la musica cambia: l’assistente restituisce un elenco di nove aziende in cui Altuofianco compare, sì, ma solo al settimo posto.
Perché?
Perché GPT ha interpretato la richiesta in modo diverso, trasformandola in query di ricerca molto più ampie. Per esempio, ha consultato un elenco di startup innovative della provincia di Modena (inserendone quattro nei risultati) e ha considerato “innovativo” anche il settore dell’intelligenza artificiale, includendo due aziende modenesi attive in quel campo.
Secondo una ricerca di Ahref, oltre l’80% dei risultati citati dai bot AI non compaiono nella prima pagina dei motori di ricerca; e spesso nemmeno tra i primi 100 risultati! Come è possibile?
Abbiamo visto sopra che l’AI, partendo da una richiesta dell’utente, lancia numerose ricerche (query) verso i motori di ricerca. Una volta ottenuti i risultati, l’AI li combina tra loro con specifici algoritmi che danno più importanza ai siti e pagine che compaiono più volte nei vari risultati di ricerca. In poche parole, non verrà citato tanto il sito web che compare come primo risultato in una ricerca, ma quello che è apparso in molte ricerche, anche se nelle “retrovie”.
Esempio: per una richiesta fatta all’AI “manutenzione condizionatori” verrà probabilmente citato per primo un articolo che parla di tutti gli aspetti della manutenzione (pulizia dei filtri, controllo del gas, ecc.) piuttosto che la pagina che è prima nei risultati di ricerca per “manutenzione condizionatori”
Molte tecniche SEO mirano a presidiare specifiche keyword o frasi (soprattutto long-tail). Ma come abbiamo visto sopra, queste strategie non sono più funzionali per farsi trovare e citare dall’AI.
Presidiare solo keyword perde quindi importanza rispetto a:
Esempio: per essere “la migliore gelateria di Voghera” non basta scriverlo sul sito. L’AI cercherà recensioni, guide e portali specializzati.
Molte tecniche di AI SEO puntano a strutturare i contenuti di una pagina web imitando la logica “domanda-risposta” tipica delle chat con l’AI, con la speranza che il bot trovi — e riporti in chat — esattamente (o quasi) la domanda dell’utente e la relativa risposta; mirano anche (e richiede molto tempo!) a coprire tutti i temi legati a un argomento, aumentando così la probabilità di venire scelti dall’AI.
Ma anche ammesso che queste tecniche funzionino, vale davvero la pena? Ha senso “servire su un piatto d’argento” le risposte all’AI quando, nella maggior parte dei casi, non ti cita nemmeno? E quando, anche se lo fa, il traffico che arriva è minimo, visto che solo l’1% degli utenti si prende la briga di controllare le fonti?
L’AI generativa evolve velocemente: nuovi modelli, nuove funzioni, nuovi strumenti che a volte durano mesi: le conclusioni non possono quindi che essere provvisorie.
Alcune strategie utili:
0. Non dimenticare la buona vecchia SEO
Farsi trovare dai motori di ricerca è ancora importante (anche per l’AI): le tecniche SEO on-site che assicurano una buona indicizzazione del sito per le keyword rilevanti servono ancora. Probabilmente alcune strategie sono ora meno efficaci: fare blog posting informativo, presidiare long-tail e keyword di nicchia.
1. Scrivi per farti capire, anche dalle macchine
Parole semplici, paragrafi brevi, titoli chiari. Evita gira di parole e focalizzati sul contenuto. Non è un tema per l’esame di maturità.
2. Cura il contesto
Se sei la miglior gelateria di Voghera, preoccupati di avere le migliori recensioni e comparire al primo posto nella guida “Le migliori gelaterie di Voghera”
3. Usa schema markup
Il markup semantico (schema.org) aiuta l’AI a capire meglio chi sei e di cosa parli. Un po’ come dargli un biglietto da visita digitale.
4. Ripensa la tua strategia di advertising
Non puntare tutto sulla ricerca. Sposta il budget dove l’attenzione vive: social, influencer, video, contenuti sponsorizzati. E se punti sulla ricerca, verifica le tue keywords e evita quelle che portano al box Ai overview
5. Non solo keyword
La struttura logica, il linguaggio chiaro e una semantica ordinata valgono più di mille keyword ripetute. È ora di parlare come una persona — o come un buon bot.
P.S. Se ti sei perso le puntate precedenti, puoi leggerle qui: Il blog di Altuofianco sull’Intelligenza artificiale