Se sei tra quelli che ogni giorno leggono un nuovo titolo sull’Intelligenza Artificiale e pensano “Ecco, ci siamo, anche oggi rischio il licenziamento”, rilassati. Respira. E prendi una tazza di caffè (magari ancora versata da un essere umano). Questo articolo non è l’ennesima profezia apocalittica sul futuro del lavoro. Anzi: è una dichiarazione d’amore per tutto ciò che nel tuo lavoro non ti fa venire voglia di lanciare il computer dalla finestra.
Sì, l’AI è ovunque. E no, non è venuta a rubarti il mestiere. È venuta a renderti le giornate meno monotone. Un po’ come quel collega che si prende carico delle riunioni più inutili o delle scartoffie che nessuno vuole compilare. Solo che lo fa gratis. E non ha bisogno della pausa pranzo.
Perché ogni rivoluzione tecnologica porta con sé un misto di entusiasmo e panico. È successo con il telaio meccanico, con l’elettricità, con l’automobile, con il computer… e ora con l’intelligenza artificiale. Il fatto è che, nel dubbio, tendiamo a pensare al peggio. Come quando il dentista prende la pinza e noi ci convinciamo che sta per toglierci tutti i denti. In realtà, forse deve solo darci una pulitina.
La domanda non è “L’AI mi ruberà il lavoro?”. La vera domanda è: “Che tipo di lavoro mi può rubare?”. E qui la risposta cambia tutto.
Ci sono lavori che ci fanno sentire vivi, sfidati, coinvolti. E poi ci sono quelli che, be’, ci fanno venire voglia di fuggire in campagna a coltivare lavanda. I primi richiedono empatia, creatività, capacità di adattamento. I secondi, invece, sono un mix di copia-incolla, clic ripetitivi e scadenze insensate.
L’AI è bravissima con i secondi. È il suo pane. È nata proprio per occuparsi delle attività che richiedono fatica ma non intelligenza. O meglio: non la nostra. E se riesci a delegare il noioso, rimane più tempo per il resto.
Non è un’invasione. È un’assunzione mirata. Sta arrivando l’assistente che non ti ruba la scena, ma ti fa risparmiare ore su ciò che non vorresti nemmeno vedere.
Immagina di avere qualcuno che risponde al posto tuo a tutte quelle email in cui ti chiedono di nuovo dove si trova quel benedetto file. Oppure che trascrive una call di un’ora in tre minuti, senza sbuffare.
L’AI è già bravissima in questi compiti:
Chi si limita a fare queste attività, e basta. Chi non aggiunge nulla oltre a ciò che è già automatizzabile. Se il tuo lavoro consiste al 90% nell’inserire dati in un sistema, potresti iniziare a guardarti intorno. Ma non perché sei inutile: perché puoi fare di meglio. Davvero.
Il vero rischio non è che l’AI ti sostituisca. È che tu resti fermo mentre il mondo va avanti. E il mondo, lo possiamo dire con una certa sicurezza, ha già preso il treno dell’intelligenza artificiale.
L’AI non è una gomma che cancella le professioni: è una lente che le trasforma. Aumenta la velocità, riduce gli errori, migliora l’efficienza. Non fa tutto da sola, ma ti permette di concentrarti su quello che conta.
Le aziende che la usano bene non tagliano personale: lo potenziano. Come? Lasciando che le persone si occupino delle decisioni, non dei dati. Delle idee, non delle formattazioni. Delle relazioni, non dei moduli.
Ci sono cose che, ancora oggi, l’AI semplicemente non sa fare (e, probabilmente, non saprà fare ancora per molto tempo). Non sa entrare in empatia con un cliente arrabbiato. Non sa cogliere le sfumature di una trattativa. Non ha intuito. Non ha visione strategica. Non si sveglia di notte con un’idea geniale…
La vera forza sta nella collaborazione: l’umano che guida, l’AI che supporta. Un po’ come il navigatore che ti dice dove andare, ma poi sei tu a decidere se fermarti per un gelato.
Nel mondo che cambia, non serve diventare programmatori o esperti di machine learning. Serve saper usare bene gli strumenti. Scrivere prompt chiari. Valutare i risultati con spirito critico. Sapere quando fidarsi e quando intervenire.
Chi sviluppa questa competenza diventa più veloce, più preciso, più competitivo. È come imparare a usare Excel negli anni 2000: all’inizio sembra una roba da nerd, poi ti accorgi che senza sei indietro. E… spoiler: nel prossimo articolo parleremo proprio di come scrivere prompt efficaci!
“Ma io non sono un tecnico.”
Nemmeno l’AI. Non ha una laurea in ingegneria. Sa solo quello che tu le chiedi di sapere. Se impari a farle le domande giuste, fa miracoli. Anche se non sai programmare nemmeno un tostapane.
“Ma poi bisogna sempre correggere.”
Certo; come ogni bravo stagista. L’AI fa il grosso, tu rifinisci. Ma intanto hai risparmiato tempo. E non ti ha chiesto neanche un buono pasto.
“Ma non è creativa.”
Dipende. Se le dai input banali, ti restituisce banalità. Se impari a stimolarla, può sorprenderti. È come un compagno di brainstorming che non si stanca mai.
Il cambiamento fa paura, lo sappiamo. Ma fa anche spazio. Spazio per fare meglio, per fare diversamente, per fare di più.
L’AI non ti sostituisce. Ti completa. Ti alleggerisce. Ti restituisce tempo e testa.
E se davvero pensi che il tuo lavoro sia tutto lì, nelle scartoffie, nelle email copia-incolla e nelle tabelle da aggiornare… allora sì, potresti essere in pericolo. Ma non per colpa dell’AI. Perché meriti di più.
Inizia a usarla. Non per diventare meno umano, ma per diventare un umano con più tempo per le cose che contano. L’AI non ti ruba il lavoro: ti lascia quello bello.
Viviamo in un mondo in continua evoluzione: innovazione tecnologica, globalizzazione, nuovi materiali e processi produttivi, nuove invenzioni cambiano la società e, con essa, il lavoro.
Nell’ultimo secolo sono scomparse (o diventate marginali) decine di professioni: dal maniscalco al costruttore di calessi, dall’addetto all’aratro agli stenografi, per non parlare di amanuensi, tessitori, barrocciai; prodotti un tempo diffusissimi sono scomparsi -e con essi intere aziende e filiere produttive: basti pensare al fax e ai vecchi cellulari; settori floridi sono diventati di nicchia perchè soppiantati da strumenti digitali (le agenzie di viaggio in primis).
Il cambiamento dei lavori, delle professioni e dei processi produttivi è in atto (e da secoli): a volte non ce ne accorgiamo (o facciamo finta di non accorgercene) perchè non siamo direttamente coinvolti, ma riguarda milioni di persone, ogni giorno.
L’AI è destinata ad avere, in questo processo, un impatto a ampio raggio in virtù della sua versatilità: può essere usata per molteplici attività in molteplici settori e quindi avrà conseguenze di grande portata.
Magnificare l’AI come panacea di tutti i mali è ovviamente ingenuo; altrettanto ingenuo è limitarsi a paventare apocalissi.
Non si tratta di capire se l’AI cambierà il mondo del lavoro (spoiler: lo sta già facendo) né se delle professioni scompariranno (spoiler: alcune già sono scomparse). Si tratta di capire se il costruttore di carrozze diventerà un carrozziere.
Abbiamo una scelta, e non è poco: possiamo decide se imparare a governare l’AI o se subirla.
P.S. Se ti sei perso la puntata precedente, puoi leggerla qui: Cosa è davvero l’intelligenza artificiale e perchè tutti ne parlano