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Ruggero e Aniceto: una storia di cavalli, testardaggine e progresso

06/08/2025

C’era una volta, all’inizio del secolo scorso, in una cittadina emiliana dove la nebbia era fitta e i cavalli avevano il diritto di precedenza, due personaggi assai noti: Aniceto “al tradisiòṅ” e Ruggero “al próvêr”. Entrambi costruivano carrozze. E non carrozze qualsiasi, attenzione: quelle da “domenica in centro”, con le ruote che brillavano al sole e i cuscini imbottiti con piume d’oca importate (probabilmente da Lugo di Romagna, ma faceva esotico).

I due si conoscevano da sempre, ma non si potevano vedere. Aniceto era un uomo d’ordine: baffi impeccabili, grembiule sempre stirato, orario di bottega e bestemmia calendarizzata. Ruggero , invece, era uno spirito libero: il laboratorio sembrava un’osteria, lavorava di notte, ascoltava Verdi a tutto volume mentre martellava e ogni tanto si dimenticava quale fosse il davanti della carrozza.

Tutto procedeva come da copione, finché arrivò l’incubo.

Un giorno d’autunno, mentre Aniceto lucidava il suo nuovo modello “Gran Torino a due cavalli” e Ruggero cercava di capire se avesse costruito una carrozza o un pollaio con le ruote, si sentì un rumore mai udito prima. Una specie di BRRRUUUUMMMMM metallico, seguito da uno stridio e da un “ATTENTOOOO!” gridato con l’accento milanese.

Era arrivata la prima automobile del paese. Senza cavallo. Con le ruote piene. E con un conducente che fumava, senza mani, e si vantava di essere arrivato da Piacenza in meno di due giorni.

Aniceto e il Gran Rifiuto

Aniceto, che già era sospettoso del grammofono comprato dalla moglie, alla vista dell’auto impallidì come se avesse visto il diavolo in persona.

“Ma cos’è quella roba? Un carro senza anima! Un aggeggio posseduto dal fuoco!”

Da quel giorno, Aniceto iniziò una personale crociata contro il “mostro a benzina”. Fece stampare dei volantini in cui spiegava che le automobili causavano emorroidi, sterilità nei polli e (ovviamente!) perdita dei valori.

Ogni mattina, fuori dalla sua bottega, appendeva un cartello diverso.
Uno recitava: “La carrozza è per chi ha dignità.
Un altro: “Il cavallo ha cuore. Il motore ha solo pistoni.
E un altro ancora, vagamente passivo-aggressivo: “Chi guida un’auto ha qualcosa da nascondere.

Aniceto costruiva carrozze sempre più belle, rifiniva ogni dettaglio con amore, ci metteva dentro tutto se stesso. Purtroppo, però, non ci metteva nessun cliente. Perché i clienti, a poco a poco, sparivano. La gente voleva correre. Arrivare. Farsi vedere.

E così, tra una sfuriata in piazza e un editoriale indignato sul “Bollettino del Cavallo”, Aniceto si ritrovò solo. La serranda abbassata. Il grembiule piegato. E una targa alla porta: “Särê për colpa dal prugrès”.

Ruggero e il Gran Sorpasso

Ruggero, invece, all’inizio si fece una gran risata. Poi si fece due conti. Poi si fece una domanda:

“Ma se al posto dei cavalli ci mettiamo i cavalli… vapore?”

Non che fosse subito convinto, eh. Per un mese intero tentò di attaccare un cavallo davanti a un’automobile per “fargliela capire”. Ma poi iniziò a smontare, guardare, domandare. Passò notti insonni a fare prove e esperimenti. Si fece amico un meccanico tedesco che parlava solo in grugniti, imparò a usare la chiave inglese, e trasformò la sua vecchia bottega in un laboratorio che puzzava di olio e futuro.

Sparirono le selle, arrivarono i cofani. Al posto delle redini, volanti cromati. I cuscini di piume? Rimpiazzati da sedili in cuoio con molla a ritorno.

Ruggero diventò carrozziere. Ma sempre a modo suo. Se uno gli chiedeva un’auto grigia, lui rispondeva:

“Sì, ma con riflessi verdognoli. Fidati, è l’ultimo grido a Parigi.”

Era rimasto un artigiano, ma con lo sguardo in avanti. I clienti aumentarono. I figli degli ex clienti di Aniceto arrivavano con auto nuove e chiedevano: “Ruggero, me la lucidi come ai vecchi tempi?”. E lui sorrideva, passava un panno e mormorava: “Meglio di prima, neh…”

Sia chiaro: non fu una passeggiata. Prima di diventare carrozziere, Ruggeto smontò più auto di quante ne rimontò, fece arrabbiare clienti, bruciò un’officina tentando di capire come funzionava il carburatore e passò notti intere a leggere libretti d’istruzione scritti in tedesco con il vocabolario in mano. Più di una volta pensò di mollare.
Non tutto gli riusciva al primo colpo. Ma testardo com’era, imparò. A forza di sbagliare, provare, sbagliare meglio.
E a un certo punto, senza nemmeno accorgersene, il nuovo non era più nuovo. Era solo il suo mestiere.

Epilogo

Oggi l’AI è l’automobile del nostro tempo: fa rumore, mette ansia, e fa storcere il naso a chi, nel dubbio, preferisce restare a cavallo.
Ma intanto cambia tutto.
Prima di sbuffare davanti a un chatbot che non ti risponde come vorresti, o quando pensi “tanto non saprà mai fare quello che faccio io” e nemmeno apri il chat bot, prova a domandarti:
voglio restare un costruttore di carrozze… o provare a diventare un carrozziere?

 

 

P.S. Se ti sei perso le puntate precedenti, puoi leggerle qui:
Cosa è davvero l’intelligenza artificiale e perchè tutti ne parlano
L’AI non ti ruba il lavoro: ti libera da quello noioso!
Prompt? L’ABC per iniziare a usare l’AI oggi stesso
Manuale di sopravvivenza sul lavoro (con l’AI al tuo fianco)